IL TRIBUNALE

    Ha  pronunciato  la  seguente ordinanza nella causa penale contro
Roibu  Anita  Iuliana  sottoposta  ad  indagini  per  il reato di cui
all'art. 14,  comma  5-quinquies, d.lgs. n. 286/1998, come modificato
dalla  legge  30  luglio  2002, n. 189, e difeso di fiducia dall'avv.
Stefano Valenza.
    Alle  ore  20,30  del giorno 19 settembre 2003 e' stata tratta in
arresto nella flagranza del reato sopra indicato perche' sorpresa nel
territorio  nazionale  dopo la scadenza del termine di 5 giorni entro
cui   avrebbe   dovuto   lasciare   l'Italia,   in   ottemperanza  al
provvedimento  del  questore  di  Roma, emesso ai sensi dell'art. 14,
comma 5-bis, del d.lgs. n. 286/1998.
    La  predetta e' stata presentata in stato di arresto il giorno 20
settembre  2003  davanti  a  questo  giudice,  per la convalida ed il
contestuale  giudizio direttissimo, a norma dell'art. 5-quinquies del
citato art. 14.
    Dopo  la  relazione orale dell'agente operante e l'interrogatorio
dell'arrestata  il  p.m.  ha chiesto la convalida dell'arresto, senza
richiedere l'applicazione di alcuna misura cautelare.
    Questo   giudice   -  che  ha  disposto  l'immediata  liberazione
dell'arrestata  - pur ritenendo conforme alle norme vigenti l'operato
della  p.g.,  che  ha  adottato  la misura restrittiva della liberta'
personale  nella  flagranza  di  un reato per il quale e' attualmente
previsto l'arresto obbligatorio ed ha inoltre presentato l'arrestata,
per  la  convalida, nei termini di legge, dubita di poter convalidare
l'arresto,  ritenendo  di  dover sollevare d'ufficio una questione di
legittimita'  costituzionale  della  norma  di cui all'art. 14, comma
5-quinquies,  della citata legge, con riferimento, in particolare, al
disposto dell'art. 13, comma terzo, e dell'art. 3 della Costituzione,
nella  parte  in  cui dispone che per il reato previsto dall'art. 14,
comma 5-ter sia obbligatorio l'arresto dell'autore del fatto.
    Si osserva che la rilevanza della questione non viene meno per il
fatto  che  l'arrestato  e'  stato  rimesso  in  liberta', atteso che
comunque deve essere accertata la legittimita' dell'arresto eseguito,
che   nella   fattispecie   verrebbe   meno   ove   fosse  dichiarata
l'illegittimita' costituzionale della disposizione in base alla quale
esso  e'  stato operate (si richiama, in proposito, la sentenza della
Corte costituzionale n. 54 del 16 febbraio 1993).
    Nel  merito si rileva che la norma di cui all'art. 13 Cost., dopo
l'affermazione  del  principio  della  inviolabilita'  della liberta'
personale,  oltre a stabilire, al secondo comma, una riserva di legge
in  materia,  prevede,  quale regola generale, che ogni provvedimento
restrittivo  della  liberta'  della  persona  debba  essere  comunque
adottato con «atto motivato dell'autorita' giudiziaria».
    Nel terzo comma essa contempla una deroga, limitata ai soli «casi
eccezionali  di necessita' e di urgenza indicati tassativamente dalla
legge»,   in   presenza   dei   quali   e'  possibile  l'adozione  di
«provvedimenti   provvisori»  da  parte  dell'autorita'  di  pubblica
sicurezza.
    In  merito  al  significato  del  termine  «eccezionale» la Corte
costituzionale  ha  ritenuto, nella sentenza n. 64 del 1977, che esso
non  e' «legato alla rarita' della fattispecie considerata, bensi' al
suo  porsi  al  di fuori della regola ordinaria», e che pertanto tale
requisito   «non   puo'  ritenersi  contraddetto  dalla  frequenza  e
prevedibilita' dei fatti di violazione» della norma incriminatrice, e
cosi'   motivando   ha  gia'  ritenuto  manifestamente  infondata  la
questione  di legittimita' costituzionale sollevata con due ordinanze
di  rinvio relative alla fattispecie di reato di cui all'art. 9 della
legge  27  dicembre  1956  n. 1423, come modificato dall'art. 8 della
legge  14  ottobre  1974,  n. 497,  norma  che consente l'arresto dei
contravventori  agli  obblighi  inerenti  alla  sorveglianza speciale
anche fuori dei casi di flagranza.
    Se,  alla  luce  della  richiamata  decisione, non si evidenziano
dubbi  di  costituzionalita' della norma di cui trattasi in relazione
al   requisito   appena  considerato,  ad  opposta  conclusione  deve
pervenirsi  con riferimento agli altri due requisiti richiesti, ossia
quelli  della  necessita' e dell'urgenza che non appaiono ravvisabili
nella fattispecie in esame.
    La  Corte  ha  ritenuto, nella sentenza n. 173 del 1971, che «gli
estremi   della   necessita'   ed   urgenza,   affidati  al  prudente
apprezzamento  degli  organi  di  polizia,  nell'esercizio della loro
funzione  di pubblica sicurezza ... vanno visti sia in relazione alle
esigenze  dell'acquisizione  e  della conservazione delle prove, sia,
soprattutto, alle qualita' morali del soggetto attivo, cioe', piu' in
generale agli elementi subiettivi indicati dall'art. 133 cod. pen.»
    Nel  sistema  delineato  dal  nostro  codice  di  rito  la misura
dell'arresto  obbtigatorio e' prevista nei casi di flagranza di reati
connotati  da particolare gravita', ossia quelli per i quali la legge
stabitisce  la  pena  dell'ergastolo o della reclusione non inferiore
nel  minimo  a  cinque  anni  e nel massimo a venti (art. 380 c.p.p.,
primo  comma), e nei casi di flagranza di altri reati, specificamente
indicati  (art. 380  secondo  comma),  che sono stati individuati dal
legislatore  in  base  al  criterio  stabilito  nella legge delega 16
febbraio  1987,  n. 81,  che prevedeva la possibilita' di contemplare
l'arresto  obbligatorio,  oltre  che nelle ipotesi suddette, anche in
caso  di  flagranza  di reati puniti meno gravemente, in relazione ai
quali  la  misura fosse pero' imposta da «speciali esigenze di tuteta
della collettivita». Va osservato che tale individuazione e' avvenuta
nel  pieno  rispetto della direttiva appena indicata, come facilmente
riscontrabile  esaminando  i  reati  che  sono  stati  inclusi  nella
previsione, comunque connotati da particolare gravita'.
    In  tutti questi casi la necessita' e l'urgenza sono insite nella
stessa  natura  dei  reati  per  i  quali la misura in esame e' stata
prevista,  reati che sono oggettivamente e concretamente suscettibiti
di compromettere le suddette esigenze di tutela.
    Il  reato  di  cui  all'art. 14, comma 5-quinquies, che ha natura
contravvenzionale,  consiste  invece nella semplice inottemperanza da
parte dello straniero irregolare all'ordine di espulsione emanato dal
questore,  in  assenza  di  giustificato motivo. Questa violazione si
pone,  dunque, su di un piano del tutto diverso rispetto a quello dei
reati appena considerati.
    In  particolare la condotta che lo integra non e' suscettibile di
destare,  ne'  oggettivamente ne' dal punto di vista della condizione
soggettiva   dell'agente,   astrattamente   considerata,  particolare
allarme  sociale,  tale cioe' da giustificare, di per se', l'adozione
immediata  di  un  provvedimento  limitativo della liberta' personale
quale quello previsto dalla nuova normativa.
    E'  importante  sottolineane  che  nei  confronti dello straniero
tratto in arresto per non aver ottemperato all'ordine del questore di
lasciare il territorio dello Stato non e' consentita, per carenza dei
presupposti  di  legge, l'applicazione di alcuna misura cautelare. La
misura  adottata  dalla  p.g.  e' quindi destinata ad esaurire i suoi
effetti ancor prima dell'udienza di convalida. La norma dell'art. 121
delle  disposizioni  di  attuazione del c.p.p. stabilisce infatti che
quando il p.m. ritenga di non dover chiedere l'applicazione di misure
coercitive,  deve  disporre  l'immediata liberazione dell'arrestato o
del  fermato;  e'  ovvio che tale disposizione deve trovare a maggior
ragione applicazione nell'ipotesi in cui il p.m. non possa richiedere
dette  misure,  come  nel caso di specie, a causa della pena edittale
prevista.
    Il  provvedimento  contemplato  dalla  norma  di  cui  tattasi si
discosta,  dunque, da quella che e la finalita' propria dell'arresto,
che e' generalmente misura di natura precautelare, ossia da adottarsi
per  ragioni  di  necessita'  ed urgenza in funzione della successiva
applicazione,   da   parte   dell'autorita'  giudiziaria,  di  misure
privative o limitative della liberta' personale.
    La  necessita'  e l'urgenza dell'arresto non appare individuabile
neppure  con  riferimento  alla  finalita'  di  rendere concretamente
possibile l'instaurazione del giudizio direttissimo, atteso che, come
appena  visto,  quest'ultimo  dovra'  necessariamente  svolgersi  nei
confronti  dell'imputato  in  stato  di liberta'. Peraltro nel nostro
sistema  processuale,  come  e'  noto,  il  rito  direttissimo non e'
necessariamente  collegato  ad  un  arresto  in flagranza, e ben puo'
essere  adottato  nei  confronti  di  un  imputato  libero  (esso  e'
previsto,  ad  esempio,  nei confronti dell'imputato libero che abbia
reso confessione, e quindi nell'ipotesi di evidenza della prova).
    Tanto meno puo' profilarsi la necessita' e l'urgenza dell'arresto
in  relazione  al  fine,  estranea,  peraltro, alle finalita' proprie
dell'istituto,   di   rendere  possibile  l'espulsione  prevista  per
l'ipotesi che lo straniero si trattenga senza giustificato motivo nel
territorio dello Stato.
    Il  comma  5-ter  dell'art. 14  prevede  infatti che in tale caso
l'espulsione  avviene sempre mediante accompagnamento alla frontiera,
e  dunque,  in  base  a  tale disposizione, e' in ogni caso garantita
l'effettivita' dell'espulsione, e non si vede come quest'ultima possa
essere agevolata dall'arresto.
    L'inutilita'  dell'arresto  al  suddetto  fine,  attesa  la breve
durata   dei   suoi  effetti,  traspare  poi  con  maggiore  evidenza
nell'ipotesi  in  cui  non  sia  possibile  eseguire con immediatezza
l'espulsione,  ipotesi  nella  quale  il  questore,  in base al comma
5-quinquies   dell'art. 14,   puo'  disporre  che  lo  straniero  sia
trattenuto  in  un  centro di permanenza temporanea, per la durata di
trenta giorni, prorogabili per altri trenta.
    Da ultimo va sottolineato come sia del tutto da escludersi che il
provvedimento   coercitivo   in   questione  possa  presentarsi  come
necessanio  ed  urgente  in  relazione allo scopo dell'acquisizione o
conservazione  della  prova  del reato, finalita' che non vi e' alcun
pericolo  che possa essere compromessa ove l'autore del reato rimanga
libero.
    La  restrizione della liberta' personale dello straniero prevista
dalla  norma  in  esame  e  dunque  priva  di  qualsivoglia  concreta
utilita',  e  appare,  in  definitiva, fine a se' stessa e quindi del
tutto irragionevole.
    A   questo  riguardo  va  richiamata  la  decisione  della  Corte
costituzionale  n. 244  del  1974, nella quale la stessa ha affermato
che  «la  mancanza  nello  straniero  di  un legame ontologico con la
comunita'  nazionale e, quindi, di un nesso giuridico costitutivo con
lo  Stato  italiano,  conduce  a  negare allo stesso una posizione di
liberta'  in  ordine  ...  alla  permanenza nello Stato italiano, dal
momento  che  egli  puo'  soggiornarvi  solo  conseguendo determinate
autorizzazioni...; ha poi aggiunto che la ponderazione degli svariati
interessi  pubblici  che  presiedono a tali determinazione «spetta in
via  primaria  al legislatore ordinario, il quale possiede in materia
ampia  discrezionalita', limitata, sotto il profilo della conformita'
alla  Costituzione, soltanto dal vincolo che le scelte non risultino»
per l'appunto «manifestamente irragionevoli».
    La     ritenuta     non     ragionevolezza    della    previsione
dell'obbligatorieta'  dell'arresto,  nella  fattispecie  considerata,
consente  di  ritenere  manifestamente discriminatoria la stessa, nei
confronti di una categoria di persone peraltro socialmente sfavorite,
e  dunque  di  dubitare  della  conformita'  della  stessa al dettato
dell'art. 3 della Costituzione.
    La  Corte costituzionale, nella sentenza n. 64 del 1977, relativa
ad  una questione di legittimita' costituzionale concernente l'art. 9
della  legge  27  dicembre 1956 n. 1423 - nella parte in cui consente
che  l'autorita' di PS possa procedere all'arresto dei contravventori
agli  obblighi  inerenti  alla  sorveglianza speciale anche fuori dei
casi  di  flagranza  -  e sollevata in riferimento all'art. 13, comma
terzo,  della  Costituzione,  ha  dichiarato la stessa manifestamente
infondata,  avendo  ritenuto  «sufficiente,  perche'  i detti estremi
siano  realizzati, che la situazione contemplata dalla legge sia tale
da  prospettare  come  possibile  la necessita' del provvedimento ...
salvo poi rimanendo all'autorita' di pubblica sicurezza di verificare
la    ricorrenza    in   concreto   della   necessita'   ed   urgenza
dell'intervento,  in  base  alla  valutazione degli elementi indicati
nella sentenza n. 173 del 1971».
    La   norma   e'   stata   quindi  ritenuta  conforme  al  dettato
costituzionale   in   quanto   prevede   l'arresto  come  misura  non
obbligatoria  ma facoltativa ed ancorata alla sussistenza in concreto
della necessita' ed urgenza del provvedimento.
    Tale  decisione  fa comprendere, con riferimento alla fattispecie
di  reato  di  cui  trattasi, come sarebbe stata ragionevole, tutt'al
piu',  la  previsione  dell'arresto  facoltativo, ossia di una misura
lasciata   al   potere   discrezionare   dell'autorita'  di  pubblica
sicurezza,  da  esercitarsi  in  presenza  di  determinate situazioni
soggettive, che rendessero urgente e necessario l'intervento di p.s.,
salvo  ovviamente  il controllo circa la effettiva ricorrenza di tali
estremi da parte dell'autorita' giudiziaria.